Filosofia del servizio

Hello world!*

Il Ticino – oltre ad essere uno dei fiumi che attraversa il nord Italia, è anche il fiume che da il nome a quella terra che si incunea nel nord della Lombardia. Le storie che si intrecciano fra questi due territori sono molteplici, fra cui quella di chi vi scrive, che un pomeriggio dell’inverno del 2018 sale su un treno Chiasso – Milano per prendere parte ad un incontro sulla GDPR. Oramai ben pochi non hanno mai sentito parlare della direttiva comunitaria che dovrebbe proteggere la privacy del cittadino europeo e che ha riempito i siti web di popup che chiudiamo e accettiamo “praticamente automaticamente” senza neppure leggere!

Chiasso è l’ultima cittadina svizzera che si incontra sull’asse nord – sud, posto di frontiera, ove le guardie di confine svizzere ed i finanzieri italiani fanno del proprio meglio per assolvere al proprio dovere: reprimere traffici poco legali che, negli anni passati, hanno tuttavia favorito entrambi i mercati, quello italiano e quello svizzero.

Quel giorno, su quel particolare treno in direzione Milano su cui io avevo già preso posto, il finanziere di servizio mi chiese “a campione” i documenti (normalmente si limitano a passare silenziosamente fra i sedili): nulla da eccepire.

Ciò che veramente mi stupì fu la libertà che l’uomo in divisa si prese, allungando la mano ed aprendo la mia cartelletta porta documenti che era semplicemente appoggiata sul tavolino di fronte a me; iniziò a sfogliare i fogli per vedere se vi fosse – cosa? – aprire le cerniere per poi trovare una lettera che anni or sono una bimba di sei anni (oramai maggiorenne) mi disegnò e che da allora porto con me come caro ricordo, assieme ai disegni che mia figlia mi fece ai tempi in cui lavoravo a Losanna.

“E se fossi stato contrario a questa perquisizione personale?”
“Allora l’avrei fatta scendere dal treno per accertamenti!”

Qualche giorno dopo mi capitò fra le mani questo scritto; è un passo dell’articolo 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che recita:

“Nessuno può essere soggetto a interferenze arbitrarie con la propria privacy, famiglia, casa o corrispondenza…”

Mi venne in mente l’episodio che vi ho raccontato e quello che – personalmente – ritengo una violazione arbitraria della mia privacy. Con che diritto può una guardia di confine, rappresentante di un corpo di polizia, eseguire una perquisizione arbitraria su un libero cittadino senza che esso abbia dato segno di essere di un qualsiasi interesse dal punto di vista legale? (Fra l’altro ero un cittadino italiano che tornava a pieno diritto a casa sua)

Quella sera, riflettendo, mi sentii accomunato a quei viaggiatori che – sempre arbitrariamente – vengono perquisiti dalla Homeland Security americana: Una perquisizione seria: Telefono, elenco contatti, social network, documenti custoditi su PC portatili.

Il giornalista e scrittore americano Glenn Greenwald ha chiaramente esposto nel suo libro “Sotto controllo – Edward Snowden e la sorveglianza di massa” che queste sorveglianze “a strascico” non contribuiscono assolutamente ad una maggiore “sicurezza nazionale” o a qualsiasi altro fine di sicurezza, bensì sono azioni volte unicamente a carpire informazioni utili dal punto di vista commerciale o strategico a vantaggio delle aziende americane.

Proprio la lettura di quest’ultimo libro, anche se a diversi anni dalla sua pubblicazione, fece scattare in me questa molla, instillò questo seme ossessivo: “No place to hide – Nessun posto dove nascondersi” ma non necessariamente “nascondersi” con un’accezione negativa! Per noi – esseri umani nati per essere “animali liberi” – non esiste più un posto solo nostro, un posto protetto dove essere noi stessi.

L’articolo 14 della Costituzione Italiana recita a chiare lettere: “Il domicilio è inviolabile”; ora più che mai, anche casa nostra è un posto insicuro. Michael Ryan, direttore esecutivo dell’OMS, durante la corrente crisi causata dal coronavirus, dichiara alla Fox: “…le autorità potrebbero dover entrare nelle case delle persone e rimuovere i vostri familiari, anche con la forza.”

Già prima della pandemia mi fu chiaro che era necessario cercare un posto dove poter custodire in modo più sicuro ed inviolabile la prova della mia esistenza, oramai interamente digitale, che non fosse casa mia.

Quella sera stessa cercai in rete e fui deluso dal risultato. Ciò che veniva proposto come “sicuro 100%” presentava dei punti che non mi piacevano: dal pagamento con carta di credito (regina della tracciabilità) alla richiesta di indirizzi di posta elettronica convalidati, registrazione del traffico… Registrazione! Tutto ossessivamente tracciato!

Quella sera decisi io stesso di creare quell’angolo della rete dove custodire la mia essenza e mi misi seduta stante a tracciare schemi, strutture di data base, ipotizzare quali algoritmi usare.

Dopo quattro mesi di lavoro partorii la prima bozza del protocollo che allora chiamai “Progetto Integrity” e quando vidi che la mia idea prendeva vita, creai l’app per mobile, il business plan, aprii il primo server sperimentale, ormai deciso a mettere tutto il mio lavoro a disposizione di altri.

Fu soddisfacente veder andare al proprio posto ogni tassello di quell’idea in quell’ecosistema di prodotti che – io ed i miei collaboratori – vi proponiamo ora su queste pagine, con lo spirito che tutti possano trovare un angolo della rete più sicuro di casa propria, dove depositare le tracce di se stessi.

Non può mancare qualche tecnicismo finale che da buoni programmatori non possiamo risparmiarvi, ma siamo orgogliosi di quanto abbiamo realizzato finora.

Gli algoritmi di crittografia che usiamo per proteggere i dati sono sicuri da attacchi da computer con la potenza di calcolo attuale; un’eventuale fuga di informazioni dal nostro data center non compromette la riservatezza del dato. Solo voi quali utenti siete a conoscenza del segreto per aprire il criptex e non c’è mezzo ora sulla Terra per violarlo.

Il futuro parla di computer quantistici; il dato depositato e condiviso è sicuro oggi, domani potrebbe non esserlo più: Crittografi e crittoanalisti stanno lavorando per concepire e testare algoritmi sicuri anche da attacchi con computer quantistici, algoritmi che noi implementeremo appena saranno omologati come sicuri.


In informatica Hello, world! (in italiano “Ciao, mondo!”) è un semplice programma dimostrativo, frequentemente utilizzato nella didattica di base, che produce come risultato – output – la scritta “Hello, world!” o altre varianti, sfruttando i cosiddetti canali standard (standard output). Il programma non fa altro dunque che far comparire a schermo questa scritta e, per tradizione, diversi manuali di programmazione lo citano spesso per mostrarlo come primo esempio di lessico, sintassi e semantica basilare di un certo linguaggio di programmazione. – Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Nel 1982, quando avevo 11 anni, per la prima volta ho visto dal vivo un computer. Era un IBM/360; nel 1983, per la prima volta nella mia vita, ho acceso il mio computer. Nel 1985 sulla mia scrivania apparvero un mouse e una scatola con alcuni floppy disk da 5"1/4. Ora ho circa 50 anni; ogni mattina apro il lid del mio MacBook Pro, che è n volte più potente, più veloce e più piccolo di un IBM/360, di un VIC-20 e di un Apple //c insieme. Ma nulla può superare l'emozione che ho provato entrando in quella rumorosa sala macchine, di scrivere su uno schermo così buffo e piccolo e di annusare la plastica dei miei primi supporti di memoria di massa, oramai obsoleti.